L'incontro con la foca
monaca
Nuotare
in un mare primitivo come quello delle isole greche, specialmente le
Cicladi, non può certo essere un mero esercizio fisico, fine a sé
stesso.
Io
lo facevo da anni, ma sempre con una speranza: quella di un incontro
magico. Non che ci pensassi veramente, come quando si cerca
un'emozione in maniera convinta, con insistenza.
Era
come una sensazione che avevo dentro, ogni volta, ogni miglio di mare
che lasciavo alle mie spalle. La sensazione di un incontro. Una
specie di vuoto al centro del cuore, pronto ad accogliere qualsiasi
forma di meraviglia.
Da
anni. Da molto, molto tempo.
Passavo,
a volte, davanti a spiaggette emerse all'interno di una grotta, e
pensavo: ecco un posto ideale per la foca monaca. Lì potrebbe
allattare il suo cucciolo e lasciarlo senza rischio, quando fosse
costretta ad andare in mare aperto per nutrirsi.
Quante
grotte ho visto, e quante volte ho pensato alla foca, o al bue
marino, o alla vacca di mare, come viene chiamata in forma dialettale
nelle varie parti dell'Italia marinara.
Quel
tardo pomeriggio, a Fylakopi, spiaggia nord orientale dell'isola di
Milo, non avevo in mente l'eventualità di un tale incontro. Avevo
deciso di nuotare per il puro piacere fisico, senza entrare nel
pensiero del mare, nella sua anima, nel mistero delle sue acque.
Ed
invece, stranamente, il mare quella volta mi regalò la più
emozionante storia della mia avventurosa vita marina.
Ero
passato davanti a quella grotta da poco, forse un centinaio di metri,
ma già avevo dimenticato che poteva essere una di quelle buone.
Troppe volte avevo trovato ambienti adatti, anche molti anni prima,
quando di foche forse ce n'era qualcuna, nel mediterraneo.
Ma
non avevo mai avuto il piacere di incontrarlo quell'animale a metà
strada tra il pesce e la donna, una specie di sirena senza capelli.
Accadde
all'improvviso, ed il cuore si fermò; stava riempiendo quel vuoto,
quel posto che io avevo lasciato libero per il mare.
Non
per dire; si fermò davvero il mio cuore. Quanto, non saprei, ma a me
sembrò un tempo lungo, perché grande era l'emozione da stipare
dentro un piccolo organo pieno di sangue; il tempo necessario a far
sì che quell'emozione mi prendesse tutto, anima e corpo. Il sangue
divenne agro, come per darmi una sferzata, e sentii la mia pelle
farsi d'oca.
Si
fermò anche il respiro, e le braccia si paralizzarono, insieme ai
pensieri.
Dapprima
mi sembrò una specie di tonno, tanto era grande. Poi i miei occhi si
spalancarono, mentre guardavo i suoi. Aveva gli occhi umani e una
triste espressione di donna, sola nella vastità del mare.
Girò
il collo verso l'alto, e mi guardò, con quella che io immaginai
essere un'espressione di tristezza. Gli occhi, grandi e scuri, quasi
neri, mi fecero tremare dentro.
Era
sconsolata, come certe donne che hanno perso l'amore, e mi guardava,
ipnotizzandomi e rimanendo forse, a sua volta, ipnotizzata dal mio
stupore.
Mi
parve pure che implorasse di non essere attaccata. Forse mi confuse
per un cacciatore, e mi scrutava, sospettosa.
Poi,
quando capì la mia gioia, iniziò a giocare. E fu vera magia.
Volteggiava
intorno a me, curiosa, dimostrandomi quanto fossi impacciato, io. Io
che avevo sempre creduto di essere un pesce, io che stavo meglio in
mare che in bicicletta, io che amavo l'acqua più che i monti fra i
quali ero nato.
La
parte di pesce che era in me s'innamorò di quella parte di donna che
era in lei. Un colpo di fulmine nei pensieri ed un tuono nel mio
intimo sentire, come se fosse crollata dal cielo tutta quanta la
bellezza del creato: e proprio davanti a me.
Giocammo
per un po', per un tempo che a me sembrò troppo breve. Lei
volteggiava, come può fare solo un aquilone, ed io davo al mio corpo
la forza del desiderio, seguendola.
Sarebbe
rimasta dentro di me, per sempre.
Improvvisamente,
scomparve. La cercai, ogni volta con una segreta speranza,
inutilmente.
Tutti
i giorni tornavo su quella spiaggia, mi buttavo in mare con un
pensiero e restavo per ore a nuotare. Niente. Finì tutto così,
quasi fosse stato un sogno, una specie di visione, un regalo
irripetibile del mare. Una sorta di riconoscenza alla mia fedeltà.
Sono
passati alcuni anni, eppure mi succede, nei giorni di festa, di
camminare per strada e sentire che il cuore batte stanco, in quel
bagno di folla. Niente mi tiene qui, tra questa gente. Fra loro
cammino anch'io, eppure sono assente.
Sono
dove il mare chiaro, primitivo, cede il passo al blu cobalto. E
quegli occhi, tristi come il dolore, sono ancore qui, nella mia
mente.
Son
rimasti i suoi occhi, solamente, e la tristezza della sua solitudine
che richiama il mio forte desiderio di poterle fare compagnia, in
qualche modo. Anche per poco. Anche per una sola volta...
Hai giocato con la mia meraviglia
per
un istante che vale
implorandomi,
muta, di non farti male.
Ora ti penso libera e felice
Ora ti penso libera e felice
nuotare
volteggiando in leggiadria
insieme
al cuore mio che mi dice:
un
pezzo te lo sei portato via.
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